“…nel cerchio della nostra umanitĂ ”. Quando Antonio Gramsci scriveva dell’Armenia

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Nino! Nino!
uno spettacolo di Sonya Orfalyan, con musiche originali di Riccardo Giagni
Con Graziano Piazza (voce recitante)
Teatro Massimo di Cagliari, venerdi 12 maggio h. 21

[organizzato dall’associazione Suoni e Pause in collaborazione con Luna Scarlatta per il festival Pazza Idea 2017]

Il 2016 è stato l’anno del 125° anniversario della nascita di Antonio Gramsci, mentre il 27 aprile è la data della morte, avvenuta ottant’anni fa: un’occasione straordinaria per ricordare una delle figure centrali della cultura e della storia politica del nostro Paese. Un’occasione, anche, per contribuire a far conoscere alle giovani generazioni italiane l’universalità, la profondità e l’alto valore morale ed educativo del suo pensiero e delle sue riflessioni: un pensiero che si è esercitato non soltanto su aspetti della civiltà politica italiana ed europea in un’epoca segnata dalle tragedie della Storia, ma anche sui destini e le vicende di popoli e di culture lontane.

Gramsci, di antiche origini albanesi, si occupò nella sua produzione intellettuale di temi universali e la sua visione internazionalista lo portò a concentrarsi con attenzione e generositĂ  anche su dolorose questioni che riguardano altri popoli, genti lontane e spesso dimenticate. Tra questi, anche gli Armeni e il loro genocidio  ad opera del governo ottomano guidato dai Giovani Turchi.

Durante la Prima guerra mondiale (1914-1918), nel 1915, 1.500.000 di armeni furono uccisi. Fu il primo sterminio di massa del XX secolo, un genocidio poco conosciuto perchè poco raccontato da storici e giornalisti del tempo.

Antonio Gramsci, invece, dedicò alla tragedia armena un articolo pubblicato su â€śIl Grido del Popolo”, in data 11 marzo 1916. 

Pubblichiamo il testo, una occasione preziosa per riflettere ancora oggi sul ruolo dell’informazione, della conoscenza delle genti “altre” da noi, che così entrano a far parte del “cerchio della nostra umanità”. Un tema attualissimo nel nostro tempo così complesso e attraversato dalle migrazioni e dai cambiamenti di paradigma culturale, con la necessità assoluta di conoscerne i meccanismi e le storie per poter immaginare un futuro sostenibile.
Uno degli eventi-anteprima di Pazza Idea 2017- Profilo Futuro.

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“…Avviene sempre così. PerchĂ© un fatto ci interessi, ci commuova, diventi una parte della nostra vita interiore, è necessario che esso avvenga vicino a noi, presso genti di cui abbiamo sentito parlare e che sono perciò entro il cerchio della nostra umanitĂ . Nel Père Goriot, Balzac fa domandare a Rastignac: Â«Se tu sapessi che ogni volta che mangi un arancio, deve morire un cinese, smetteresti di mangiare aranci?», e Rastignac risponde press’a poco: «Gli aranci e io siamo vicini e li conosco, e i cinesi son così lontani e non sono neppure certo che esistano».
La risposta cinica di Rastignac noi non la daremmo mai, è vero; ma tuttavia, quando abbiamo sentito che i turchi avevano massacrato centinaia di migliaia di armeni, abbiamo sentito quello strappo lancinante delle carni che proviamo ogni volta che i nostri occhi cadono su della povera carne martoriata e che abbiamo sentito spasimando subito dopo che i tedeschi avevano invaso il Belgio?

É un gran torto non essere conosciuti. Vuol dire rimanere isolati, chiusi nel proprio dolore, senza possibilità di aiuti, di conforto. Per un popolo, per una razza, significa il lento dissolvimento, l’annientarsi progressivo di ogni vincolo internazionale, l’abbandono a se stessi, inermi e miseri di fronte a chi non ha altra ragione che la spada e la coscienza di obbedire a un obbligo religioso distruggendo gli infedeli.

Così l’Armenia non ebbe mai, nei suoi peggiori momenti, che qualche affermazione platonica di pietà per sé o di sdegno per i suoi carnefici; “le stragi armene” divennero proverbiali, ma erano parole che suonavano solo, che non riuscivano a creare dei fantasmi, delle immagini vive di uomini di carne ed ossa. Sarebbe stato possibile costringere la Turchia, legata da tanti interessi a tutte le nazioni europee, a non straziare in tal modo chi non domandava altro, in fondo, che di essere lasciato in pace. Niente mai fu fatto, o almeno niente che desse risultati concreti. Dell’Armenia parlava qualche volta Vico Mantegazza nelle sue prolisse divagazioni di politica orientale.La guerra europea ha messo di nuovo sul tappeto la quistione armena. Ma senza molta convinzione.

Alla caduta di Erzerum in mano dei russi, alla probabile ritirata dei turchi in tutto il paese armeno non è stato dato nei giornali neppure lo stesso spazio che all’atterramento di un “Zeppelin” in Francia. Gli armeni che sono disseminati in Europa dovrebbero far conoscere la loro patria, la loro storia, la loro letteratura. É avvenuto in piccolo per l’Armenia ciò che in grande per la Persia. Chi sa che i piĂą grandi arabi (Averroè, Avicenna etc.) sono invece… persiani? Chi sa che quella che si è soliti chiamare civiltĂ  araba è invece in gran parte persiana? E così quanti sanno che gli ultimi tentativi di rinnovare la Turchia furono dovuti agli armeni e agli ebrei? Gli armeni dovrebbero far conoscere l’Armenia, renderla viva nella coscienza di chi ignora, non sa, non sente.

A Torino qualcosa si è fatto. Esce da qualche mese una rassegna intitolata appunto “Armenia” che con serietà di intenti, con varietà di collaborazione dice cosa sia, cosa voglia, cosa dovrebbe diventare il popolo armeno. Dalla rivista dovrebbe partire l’iniziativa di una collana di libri che con più efficace persuasione e dimostrazione desse all’Italia un quadro di ciò che è la lingua, la storia, la cultura, la poesia del popolo armeno.”

*Articolo Firmato A. G., “Il Grido del Popolo”, 11 marzo 1916, anno XXII, n.607, inserito nelle Opere di Antonio Gramsci. Scritti giovanili (1914-1918).